Fresco dona 25 milioni per la ricerca
NEW YORK
Filantropia anno zero: da ieri con l’annuncio formale di una donazione da 25 milioni di dollari e del programma completo, che destinerà i fondi alla ricerca contro il morbo di Parkison, Paolo Fresco ha aperto una strada nuova per il non profit in Italia. Intanto ha quasi certamente stabilito un record per una donazione privata, anche perché nel giro di tre anni la donazione potrebbe salire a 60 milioni di dollari. Ma soprattutto ha portato un messaggio per trasformare il nostro settore non profit, per trasmettere quella carica di generosità a vantaggio delle attività benefiche che da noi non è certo diffusa. E ha contribuito a puntare l’indice verso il futuro, verso quel passaggio inevitabile dall’approccio più statalista attuale per la gestione di attività culturali e scientifiche a un approccio più anglosassone, che lascia ampio spazio ai privati, ai donatori, sia per la destinazione che per la gestione dei fondi. «Sono cresciuto professionalmente in una cultura anglosassone dove si riceve molto – e io credo di aver lavorato duro e di aver ricevuto molto – ma dove vale anche l’imperativo morale della «restituzione» mi dice Fresco in una chiaccherata con il nostro giornale. Paolo Fresco, ex vice-chairman di General Electric ed ex Presidente e amministratore delegato della Fiat aveva deciso di destinare la sua intera eredità alla fondazione Paolo e Marlene Fresco (fondazione Fresco). «Ma poi ho deciso che forse potevo fare qualcosa subito, in vita, in modo da poter essere certo che i fondi fossero impiegati come desideravo».
NEW YORK
La donazione è molto creativa sul piano della strutturazione, formalmente i soldi vanno alla New York University, anzi al Langone Medical Center della NYU con una destinazione di ricerca molto specifica: l’Università creerà l’Istituto Marlene e Paolo Fresco per il Parkinson e i disturbi motori (Istituto Fresco) guidato da un clinico e da un neuro scienziato.
Un terzo della donazione però sarà gestito dalla fondazione italiana che finanzierà istituti di ricerca nel nostro paese in coordinamento con il comitato scientifico di NYU. Un altro terzo sarà destinato dalla università americana a ricercatori italiani che potranno andare a lavorare per due anni in America nella specialità, con l’impegno a rientrare in Italia e lavorare altri due anni sempre pagati dalla fondazione: «In questo modo creiamo un ponte solido fra Italia e Stati Uniti che consentirà ai nostri scienziati di lavorare in ambienti stimolanti ma di riportare la loro expertise nel nostro paese. Oggi i migliori scienziati italiani reclutati dagli ospedali universitari americani raramente tornano» . Ma al di là dei dettagli, resta l’impostazione creativa per questa donazione: «Non sono un Re Mida, ma spero che la mia azione serva anche da esempio per cambiare una certa cultura italiana molto più prudente. Ci vorrà tempo ma so che il governo è d’accordo sulla necessità di seguire questo tracciato – dice ancora Fresco – Che siano offerte deduzioni fiscali. Ma l’importante a questo punto è che persone con ampie disponibilità si muovano nella stessa direzione, ci vorrà un cambio culturale: del resto credo che il dovere della restituzione sia un valore universale».
Fonte: Il Sole 24 Ore – 08/10/2015