Prospettiva multidisciplinare e utilità della riabilitazione nella malattia di Parkinson
Com’è noto, la Malattia di Parkinson non ha ancora una cura risolutiva. La terapia fondamentale per alleviarne i sintomi è pur sempre quella farmacologica, che oggi si attua con la somministrazione di diversi principi attivi – oltre alla levodopa che rimane il farmaco più potente, ma che presenta dopo qualche anno marcati effetti collaterali – altri farmaci di più recente formulazione quali i dopaminoagonisti e gli inibitori degli enzimi coinvolti nella degradazione della levodopa. Alla terapia farmacologica si affianca spesso la fisioterapia, sempre consigliabile per le persone affette da Parkinson.
Gli approcci terapeutici più recenti hanno evidenziato l’importanza della prospettiva multidisciplinare e l’utilità della riabilitazione, sia nella sua forma “classica” come fisioterapia che in una o più delle sue forme cosiddette “terapie complementari” (a indicare che integrano ma non sostituiscono approcci più convenzionali). Quest’ultime sono costituite sia da metodiche create espressamente in considerazione dei bisogni dei pazienti parkinsoniani, sia dall’uso a fini riabilitativi di pratiche che, nate senza alcuna intenzionalità terapeutica specifica, si sono dimostrate in seguito dei validi aiuti per chi soffre di Parkinson. Le terapie complementari, essendo quasi sempre pratiche di gruppo, hanno anche il grande vantaggio di favorire la socializzazione. Questo è utile anche dal punto di vista psicologico: perché spesso il parkinsoniano tende ad isolarsi, per nascondere il suo stato; incontrarsi con chi condivide la sua condizione lo aiuta ad affrontarla meglio.
Queste terapie non farmacologiche contribuiscono a mantenere la plasticità neuronale. Il trattamento non farmacologico riduce i disturbi comportamentali ed aumenta le performance nelle attività funzionali.
Nel campo generale della Fisioterapia (e della riabilitazione) che le comprende un po’ tutte, alcune delle terapie complementari più conosciute e praticate sono: Logoterapia, Fisiochinesiterapia, Attività Fisica Adattata (AFA), Teatroterapia, Danzaterapia, Ginnastica Posturale, Pancafit®, Shiatsu, Tai-chi, Liedtherapy, Nordic walking, Pilates, Terapia Occupazionale…
Fisioterapia e riabilitazione: principi generali ed evidenza scientifica
La riabilitazione, e con essa la fisioterapia, si imposero nel trattamento del Parkinson prima della diffusione del trattamento con Levodopa.
In seguito, i successi della terapia farmacologica ne fecero diminuire l’importanza. Si è avuta una ripresa di interesse per questo tipo di intervento da quando si sono evidenziate le complicanze dovute ai farmaci ed in seguito alla constatazione che la progressione della patologia continua nonostante la terapia medica.
Il trattamento riabilitativo del soggetto con Parkinson si propone innanzitutto il mantenimento della situazione psicofisica del paziente e la prevenzione di danni secondari e terziari, cioè delle problematiche non direttamente causate dalla patologia primaria, ma dalla riduzione del movimento, dell’ attività fisica generale, dei contatti sociali, ecc..
La riabilitazione del soggetto con Parkinson si basa sul lavoro in team multiprofessionale (neurologo, fisiatra, fisioterapista, logopedista, tecnico ortopedico, infermiere, assistente sociale, operatore socio-sanitario, medici di diverse specialità) per promuovere lo sviluppo del potenziale di salute dell’individuo, il mantenimento delle autonomie di base e l’apprendimento/riapprendimento di strategie motorie e cognitive. Prioritario è il monitoraggio dell’evoluzione della patologia e degli effetti del trattamento attraverso un’attenta valutazione del soggetto, preferibilmente con l’uso di metodiche e scale validate (U. PARKINSON R.S., I.C.F., test di disabilità, menomazione, qualità della vita, abilità cognitive, ecc.).
Le evidenze scientifiche sull’efficacia del trattamento fisioterapico, logopedico e di terapia occupazionale per il soggetto con Parkinson sono ancora limitate, soprattutto per la carenza di studi e, ancor più, per la loro disomogeneità e scarsa qualità. Non esistono ancora, infatti, linee guida condivise riguardo alle metodologie di riabilitazione e fisioterapia da considerarsi come “best practice” di trattamento per il Parkinson Nonostante ciò, le più diffuse Linee Guida (per es., quelle della American Academy of Neurology Medical Speciality Society) affermano che “Per pazienti con Parkinson, la terapia con esercizio può essere considerata per migliorare la funzione… Per pazienti con Parkinson complicato da disartria, la logoterapia può essere considerata per migliorare il volume del linguaggio…”. Numerosi studi hanno inoltre dimostrato l’efficacia di esercitazioni di addestramento nelle attività della vita quotidiana e dell’uso di segnali visivi ed uditivi nel trattamento del Parkinson. Inoltre, uno studio del 2008 (una metanalisi di 14 studi, effettuati con lo scopo di valutare l’utilità della fisioterapia nella Malattia di Parkinson e comprendente un totale di oltre 450 pazienti) ha dimostrato che la fisioterapia può apportare un reale beneficio ai pazienti con Malattia di Parkinson migliorandone la qualità di vita correlata alla salute, le condizioni fisiche generali, la forza muscolare, l’equilibrio, la velocità e la sicurezza dell’andatura. Si tratta di risultati importanti perché confermano l’importanza di accostare, nel paziente parkinsoniano, ad approcci farmacologici adeguati, attività fisiche che possano ritardare o ridurne quanto più il declino funzionale.
Attualmente si stanno sviluppando le linee-guida Europee per la fisioterapia nella Malattia di Parkinson e l’Associazione Italiana Fisioterapisti (AIFI) sta partecipando attivamente a questo processo. Come primo passo è stato condotto un sondaggio sul web al fine di raggiungere una chiara visione sui modelli di cure in ambito riabilitativo per pazienti affetti da Malattia di Parkinson e di capire le necessità dei fisioterapisti nel somministrare questo tipo di trattamento.
Il trattamento individuale
Le ipotesi “storiche” di trattamento fisioterapico utilizzano, a partire dai sintomi, movimenti “in apertura”, la massima escursione articolare, stimoli acustici e visivi, esercizi di equilibrio, ginnastica respiratoria, rilassamento, terapia occupazionale, esercizi per migliorare il tono di voce, la parola, la mimica facciale.
Attualmente, il trattamento varia in funzione della fase e dell’evolutività della Malattia , dei sintomi prevalenti, delle condizioni psicosociali del soggetto, ecc. Per es., per contrastare la rigidità si utilizzano approcci che comprendono: presa di coscienza, rilassamento/allungamento muscolare, postura corretta (con attenzione alle asimmetrie), mobilizzazione passiva, automobilizzazione e mobilizzazione attiva, svincolo dei cingoli (rotazione in direzione opposta di spalle e bacino), variazioni posturali ed esercizi di risalita dal suolo alla stazione eretta, posture correttivo/preventive, respirazione, controllo tensione emotiva, stimoli sensitivo/ sensoriali, ecc.
Per limitare la bradicinesia si usano stimoli acustici, stimoli visivi, verbalizzazione (autoverbalizzazione), strategie per il controllo del freezing, esercitazioni di mimica, ginnastica respiratoria.
Per migliorare o mantenere l’equilibrio si propongono situazioni terapeutiche di marcia con stop, cambi direzione, vari tipi di cammino (laterale, indietro), sbilanciamenti controllati tacco-punta, riabilitazione propriocettiva, risalite, half kneeling (posizione asimmetrica in ginocchio), attività occupazionali.
Per stimolare i movimenti di precisione delle mani si esercitano e si consigliano a domicilio attività quali la preparazione del cibo, il bricolage, il lavoro a maglia o all’uncinetto, la scrittura, ecc.
Sono stati sperimentati con successo anche approcci di derivazione orientale (Yoga, Qigong, Tai Chi).
Il trattamento logoterapico può essere utile per migliorare l’espressione verbale del soggetto, presupposto di una reale socializzazione.
Nelle fasi avanzate della patologia, si pone maggiore attenzione alla prevenzione delle complicanze respiratorie, si imposta il trattamento della disfagia, si propongono e verificano ausili per l’alimentazione, l’abbigliamento, l’igiene personale, la deambulazione, ecc.
Sono fondamentali, in ogni caso, l’informazione ed il coinvolgimento dei caregivers (parenti e personale di assistenza) per la gestione delle difficoltà del soggetto con Parkinson nelle diverse attività della vita quotidiana e per la prevenzione delle cadute. Per consentire il mantenimento dei risultati, la frequenza del trattamento dovrebbe evitare la sporadicità del “ciclo” e configurarsi come percorso costante nell’arco dell’anno, facendo seguire ad un trattamento individuale, periodico, il trattamento di gruppo o l’autotrattamento (eventualmente supportato da opuscoli divulgativi).
Il trattamento di gruppo Il trattamento di gruppo è portatore di un valore aggiunto, in quanto consente l’instaurarsi tra i partecipanti di processi di comunicazione, rispecchiamento e risonanza, reti di comunicazione, interazioni individuo-gruppo, ecc.
Può quindi configurarsi come uno strumento terapeutico per stimolare socializzazione, competizione, emulazione, scambio, motivazione, per riportare alla normalità del “corso di ginnastica”, per consentire un risparmio economico sia del singolo che della collettività, per garantire continuità, ecc.
I gruppi dovrebbero essere il più possibile omogenei. Generalmente sono costituiti da soggetti con punteggio da 1 a 3 della scala di Hoehn e Yahr; si possono comunque ipotizzare esperienze di gruppo, eventualmente integrative di cicli individuali, anche per pazienti di livello 3-4.
Fonte: Parkinson Italia – 14/05/2015